lunedì 1 giugno 2009

La Fiera delle illusioni



A volte ho come l'impressione che sia necessario allargare l'orizzonte per capire meglio la piccola realtà che ci sta intorno, un po' come osservare un sorpasso: la velocità relativa della macchina che sta compiendo la manovra può essere molto limitata rispetto a quella che viene superata, ma rispetto ad una persona ferma sul ciglio della strada tutti e due i veicoli possono avere una velocità assoluta anche molto elevata.

Per questo credo sia utile offrire una prospettiva più larga nella convinzione che i nostri piccoli paesi non possano considerarsi fuori dal sistema, immuni dalle influenze esterne o impermeabili alle dinamiche generali e in ogni caso anche le scelte amministrative, almeno a mio parere, non possono prescindere da una analisi accurata delle reali prospettive che tutti abbiamo.

Iniziamo subito con il chiarire un concetto di base che spesso nemmeno concepiamo ma importante per comprendere che la fuori, nella realtà, non siamo soli e con gli altri i conti li dobbiamo sempre fare. In Italia e in generale in Europa siamo in troppi. Sembra una eresia, ma è la semplice incontestabile verità. In termini assoluti negli ultimi 100 anni, per diversi fattori, che hanno aumentato la percentuale di sopravvivenza degli esseri umani e il livello di benessere di alcuni gruppi di persone, la popolazione mondiale è cresciuta a dismisura da 1,6 a 6 miliardi di individui. Ovviamente la crescita non è stata omogenea e questo lo si può osservare attraverso il layout grafico messo a disposizione dalla base dati di Worldmapper. Interessanti per l'osservazione di quanto affermato sopra sono le immagini della Terra rielaborate in base a due parametri: l'estensione territoriale e la popolazione. Il loro raffronto permette di valutare l'enorme sproporzione del rapporto territorio/popolazione tra l'Europa e l'Africa per fare un esempio.

L'Italia, che nella prima immagine assume l'usuale forma affusolata dello stivale e nella seconda immagine somiglia invece di più ad un grosso salsicciotto, è anche uno dei paesi europei maggiormente popolato se consideriamo che alcuni nostri vicini dispongono di un territorio grande tre volte con una popolazione totale che è circa la metà di quella del nostro Belpaese.

Il fatto appurato che noi siamo in troppi determina anche la tendenza demografica che sta caratterizzando tutti i Paesi cosiddetti "sviluppati". Si legge nel tasso di natalità nazionale e continentale una inesorabile discesa verso il basso. I dati Istat per l'Italia sono disponibili on-line e attestano un "tasso composto" di 1,2 nuovi nati ogni coppia di genitori. Questo significa che per svariati motivi, poco dipendenti da condizioni locali, il nostro Paese si sta lentamente e per certi versi fortunatamente svuotando. Come in tutti i sistemi naturali la sovrappopolazione non è tollerata a lungo e quando questo avviene scattano meccanismi automatici di autoregolazione del numero.

Per una società complessa come quella umana i fattori di regolazione sono in parte molto differenti da quelli che reggono le sorti delle altre specie animali, ma non per questo motivo sono meno efficaci.

Chi sta pensando che sia assurdo tifare per una diminuzione della popolazione mondiale dovrebbe considerare che in realtà viviamo in una società estremamente eterogenea dove se ogni essere umano vivesse con il nostro tenore di vita e con il nostro sistema economico e sociale non basterebbero 3 pianeti Terra per soddisfare il fabbisogno giornaliero di energia e di risorse.
Tralasciando le opinioni personali sul perché ci troviamo in questa condizione e di chi sia la responsabilità delle diseguaglianze che affliggono il mondo vi propongo un semplice test per verificare quanto pesiamo sulle spalle del pianeta.
C'è un sito italiano, ma ne esistono di più completi e dettagliati in inglese, che calcola la cosiddetta "impronta ecologica personale" stimando il numero di ettari necessari ad assicurare la sopravvivenza di ognuno di noi.

Rileggendo i risultati delle ricerche che disegnano la nostra società mi viene in mente la famosa frase: "...le rane non bevono mai tutta l'acqua dello stagno", ma noi umani da quel lato siamo duri d'orecchi e certe lezioni facciamo fatica ad impararle.

Nostro malgrado comunque, i "grandi numeri", le tendenze, gli strumenti che mostrano con chiarezza la realtà e le prospettive disponibili sono abbastanza semplici da reperire e serve solo assumerli come "dati" al posto delle "illudevoli promesse" per trarne le dovute conclusioni.

Mi riferisco in particolare all'ipotetico incremento del numero dei cittadini attraverso lo sviluppo urbanistico dei nostri piccoli centri decantato come obolo alla panacea dei nostri mali.

"Tutti dicono che c'è bisogno di più case" e senza ombra di dubbio questa è una verità incontestabile.
Che quanto asserito, nonostante venga ripetuto alla nausea a livello nazionale e locale, sia vero è ancora tutto da dimostrare. Forse vale la pena fare due conti usando i famigerati grandi numeri: i dati disponibili forniti nel 2003 dalla nostra Agenzia del territorio, in occasione dell’ultimo censimento catastale, indicavano che il numero complessivo di “unità immobiliari”, non immobili che possono contenere più unità, riferito al 30 luglio, ammontava a 52.752.809. Depurando questo numero dalle tipologie non prettamente residenziali si otteneva la cifra di 29.664.046 unità immobiliari. A questo patrimonio edilizio vanno aggiunte delle "appendici": dal 2004 al 2009 si è costruito molto in Italia, il trionfo del mattone si è misurato su cifre che hanno oscillato intorno ai 600.000 immobili (normalmente più unità immobiliari)/anno con punte che nel caso dell’anno 2007 hanno superato di 190.000 lunghezze i 540.000 bambini nati. Poi c’è da considerare che siamo in Italia e quindi, come risulta da un indagine fiscale dell’Agenzia del Territorio condotta tra il 2007 e il 2008 , in media il 15% dei fabbricati – immobili (normalmente più unità immobiliari)- non risulta essere mai stato accatastato. Sunto di questa “mitragliata” di dati è che, anche facendo finta di riuscire a non considerare le appendici, possiamo senza dubbio affermare che a livello numerico, in un Paese affollato come il nostro, c’è una casa per ogni due abitanti. Ora, se è vero che stiamo diminuendo, c'è davvero tutto questo bisogno di case?
A meno che si decida di ammettere apertamente che la nostra economia non può sopravvivere senza una forte componente legata al ramo edile e al suo indotto, ma questo equivarrebbe a parificare "il consumo di territorio" alla dose di eroina per il tossico-dipendente, mi domando, visto che abbiamo già un numero sufficiente di case e andiamo avanti a costruirne, per chi le stiamo costruendo e perché ne prevediamo di nuove? Mi è sempre parso di capire che la legge di mercato della domanda e dell'offerta determinasse una funzione del prezzo inversamente proporzionale alla quantità di beni disponibili, ....sta vedere che ci siamo indebitati fino al collo per comprare a 100 ciò che domani varrà 10, bell'affare...
Capisco benissimo che le reazioni del mercato edile alla crisi che attraversiamo possano sembrare bizzarre, in fondo i costruttori italiani non è che siano tutti dei pozzi di scienza, ma pensare che grazie alle intercessioni pubbliche di amministratori creativi, i nostri lidi diventeranno più appetibili di altri e che si investiranno energie e denaro a cuor leggero, tirando su tramezze nostrane, convinti che tutto andrà a posto e che il futuro sarà più roseo dell'ultimo "decennio cementificatorio" appena terminato, mi sembra un tantino forzato, ...da neuro più che altro.
Certo, sarebbe bello credere alle dichiarazioni euforiche che da ogni parte si sprecano per ridare fiducia alle persone e far ripartire l'economia e i consumi, ma purtroppo queste sono recite già viste a patto di riderci sopra immaginando che non sia la realtà e che non stiano parlando del nostro futuro.
Per dare un'idea di come si possa andare e trascinare le masse con gioia e con fiducia verso il baratro è interessante osservare un grafico divenuto famoso, che è stato soprannominato "Il grafico delle pompose dichiarazioni" e che riporta, appunto, le dichiarazioni ufficiali dei più quotati esponenti politici ed economici americani negli anni della grande crisi. Sappiamo tutti quello che accadde nel 1929 ma oggi a che punto siamo, confrontando le due situazioni e tenendo conto della forte interconnessione tra le diverse economie nazionali nel mercato della globalizzazione? Per farci un'idea consiglio questo articolo proposto da Altrainformazione che determina il livello su cui attualmente l'economia mondiale si attesta rappresentato nel grafico del "precipizio" che inghiotti negli anni '30 il sistema socio-economico americano ed europeo. ...Ma allora, può andare peggio di così...!! Se consideriamo che il mercato finanziario reagisce con un anticipo di circa 6, 8 mesi al mercato dei beni, poiché determina i suoi utili e le sue perdite sulla base delle attese di realizzo dell'economia reale attraverso i risultati raggiungibili dalle aziende, sarà utile allacciarsi le cinture e non sottovalutare gli allarmi che alcuni economisti fuori dal coro, gli stessi che da tre anni gridano invano al lupo al lupo, stanno lanciando per un possibile nuovo tonfo estivo delle borse. Valendo la regola spiegata sopra, al botto finanziario seguirà un ulteriore calo della produzione e una nuova contrazione dei consumi, il tutto alla faccia dell'ottimismo di chi crede che il futuro sia ancora "cucinabile" con l'ingrediente base dello sviluppo.
Giunti a questo punto mi sorge spontanea una domanda: ma tutti i sogni di "gloria futura" che la nostra attuale classe dirigente ci regala e che molti di noi si bevono come oro colato quanto sono oggettivamente realizzabili?
G.Barile.